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Costruire cittadinanza attraverso il volontariato

Note a margine di una ricerca europea

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L’approccio europeo all’immigrazione ha tradizionalmente cercato di conciliare due opposte filosofie generando, inevitabilmente, una sorta di schizofrenia.

Con la “mano economicista” si è regolato l’ingresso e la permanenza dei migranti sulla base del loro accesso al lavoro, di fatto dentro una logica di mera strumentalità, ovvero di complementarietà con i lavoratori autoctoni, dove gli stranieri vanno a occupare posizioni di basso profilo, trascurate, almeno fino ad un recente passato, dai lavoratori italiani.

Sull’altro fronte, la “mano solidaristica” – che trova alimento nella cultura di un’Europa culla dei diritti umani – ha consentito di estendere ai lavoratori stranieri e alle loro famiglie un ampio ventaglio di protezioni, diritti e opportunità. Il risultato è stato quello di trasformare i “lavoratori ospiti” in “semi-cittadini” senza tuttavia arrivare a una reale inclusione, come puntualizza la professoressa Laura Zanfrini del centro di ricerca WWELL dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, coordinatrice del progetto europeo “DIVERSE – Diversity Improvement as a Viable Enrichment Resource for Society and Economy”[1].

La ricerca, che ha visto la collaborazione di 14 partner in 10 paesi europei e che si è posta l’obiettivo di rinnovare il paradigma integrativo fino ad oggi adottato dall’Europa, indica tre direzioni di lavoro. Anzitutto, il passaggio da una percezione dei migranti come risorsa contingente e strumentale a una concezione che li vede come risorsa strutturale per lo sviluppo economico e sociale delle società europee. In secondo luogo, una maggiore consapevolezza, a livello organizzativo e imprenditoriale delle potenzialità delle strategie di Diversity Management. In terzo luogo, la promozione della partecipazione sociale e dell’impegno civile dei migranti per la costruzione di una società inclusiva.

Su questo ultimo aspetto il progetto DIVERSE ha lavorato su due fronti: andando a fotografare la situazione dei paesi coinvolti nell’indagine rispetto alla partecipazione civica dei migranti e sperimentando pratiche di enablement di un centinaio di persone straniere accompagnandone l’inserimento in organizzazioni di volontariato[2].

L’assunto da cui prende avvio la ricerca è chiaro: se quella lavorativa è certamente una dimensione fondamentale per una reale integrazione dei migranti e per la loro accettazione sociale, è evidente come questo piano, da solo, non basti. L’accentuazione della dimensione economica ha fortemente oscurato altre sfere non meno significative nei processi di inclusione, quelle del reciproco riconoscimento, della valorizzazione interculturale, della partecipazione civica, ad esempio, dimensioni capaci a loro volta di generare relazioni, legami, fiducia, coesione, senso di appartenenza.

Quando l’immigrazione incontra il volontariato

Come i report confermano, nei paesi europei coinvolti nella ricerca gli stranieri fanno volontariato in misura inferiore, e a volte in modo decisamente inferiore, rispetto alle persone autoctone. Quasi ovunque il volontariato dei migranti matura e si dispiega per lo più attorno a associazioni etniche, ovvero ad associazioni fondate e guidate dai migranti stessi[3]. Queste presentano generalmente un forte orientamento alla madrepatria e tra i loro obiettivi vi sono l’aiuto di persone provenienti dalla stessa area geografica/culturale; la custodia delle radici; azioni di advocacy a favore dei diritti dei migranti; attività di sostegno transnazionale.

Più raro è invece il volontariato dei migranti in associazioni non etniche. I dati raccolti, però, rimandano qualche segnale incoraggiante. Anzitutto, si suggerisce l'esistenza di un processo di graduale integrazione degli stranieri nel campo del volontariato: più lunga è la permanenza in un paese, più ampie sono le reti sociali costruite e più forte l’ingaggio dei migranti. Inoltre, nei paesi in cui il volontariato organizzato è più maturo e dove anche il percorso migratorio è più datato (la Germania, ad esempio), i numeri del volontariato degli stranieri in organizzazioni non etniche paiono tendere a un avvicinamento rispetto a quelli degli autoctoni.

Prevale un volontariato informale

Ciò non significa che i migranti non siano solidali. Piuttosto, la loro partecipazione tende a declinarsi con maggiore facilità negli spazi dell’informalità e della prossimità, come la cerchia della famiglia e il vicinato. Del resto, per molte culture l’idea stessa di volontariato è estranea.

Il volontariato informale non è però meno significativo. Se pensiamo alle tendenze alla decentralizzazione del welfare avviata da alcuni paesi europei, alle trasformazioni demografiche in atto (invecchiamento della popolazione europea) e allo sviluppo di nuovi modelli di welfare di comunità, parliamo di una risorsa destinata a diventare sempre più cruciale rispetto alla qualità della vita di una citta o di un quartiere.

Le precondizioni del volontariato

L’adesione al volontariato da parte dei migranti dipende anzitutto dal loro progetto migratorio, cioè dalla decisione di risiedere stabilmente in un paese e, dunque, di investire in esso anche relazionalmente, affettivamente, simbolicamente. Altri fattori cruciali sono la condizione economica (lavoro e reddito; situazione abitativa)[4] e familiare (conciliazione tempi lavoro/famiglia); le differenze culturali; le barriere all’ingresso da parte del volontariato stesso.

Quest’ultimo non costituisce un bisogno primario per i migranti ma può diventare sempre più significativo a certe condizioni e nel proseguo del percorso di immigrazione. Oggi la scelta del volontariato in qualche associazione non etnica è un’iniziativa solo individuale. Vi è dunque un enorme potenziale inespresso che potrebbe essere maggiormente coltivato.

Le organizzazioni non etniche appaiono meno attraenti e meno aperte ai nuovi venuti, ma nel processo di integrazione queste possono offrire un contributo cruciale in termini di riconoscimento sociale, ampliamento del network e emersione e riconoscimento degli skills.

L’alleanza, dunque, non è solo possibile ma auspicabile.

Cosa facilita la partecipazione dei migranti

Ciò che spinge gli stranieri al volontariato sono anzitutto il desiderio di legami e di amicizia; di partecipazione civica e di contribuzione al bene comune; il benessere personale che si ricava dal volontariato, ma anche le opportunità che questo offre nella ricerca di lavoro grazie all’ampliamento del proprio network di relazioni; lo scambio culturale e la qualificazione linguistica.

Tra i fattori che supportano la scelta ci sono:

– il framework strutturale, politico e legislativo: il riconoscimento legislativo del volontariato e del suo valore sociale, così come il riconoscimento sociale che ne possono trarre le persone immigrate. Più aumenta il riconoscimento reciproco, più cresce anche il desiderio di partecipazione. Del resto: “Perché dovrei fare qualcosa per questo Paese se non lo considero il mio?”

considerazioni socio-culturali ed economiche: il livello di apertura della società ospitante e delle stesse organizzazioni di volontariato; la presenza di un volontariato sufficientemente organizzato per accogliere e formare i nuovi venuti;

la dotazione personale: il possesso di skills e competenze relazionali; la situazione familiare;

il bisogno di senso e di finalità: il volontariato offre risposta al desiderio di dare senso alla propria esistenza; la presenza di buone cause; l’idea di partecipazione e di contribuzione.

Cosa cercano i migranti nel volontariato?

Ciò che i migranti ricercano sono anzitutto relazioni e scambi transculturali. Il volontariato si delinea spazio di conoscenza e di reciproco riconoscimento dentro relazioni paritarie e di mutua crescita. Il volontariato può diventare il luogo in cui mettere le fondamenta della città plurale.

La novità delle terze generazioni

Le seconde e terze generazioni presentano modelli di adesione al volontariato differenti. Anzitutto i giovani sanno cosa è il volontariato (qui è da ricordare il ruolo introduttivo e di accompagnamento all’esperienza di volontariato delle istituzioni scolastiche). I giovani, inoltre, sono più interessati a fondare proprie organizzazioni (anche etniche, ma con scopi diversi, come la musica o lo sport) e aderiscono più facilmente al volontariato organizzato non etnico.

Il valore di questa partecipazione

Come i volontari autoctoni vedono il volontariato dei migranti nelle loro organizzazioni? I report sono univoci in questo: il giudizio è molto positivo. Il volontariato dei migranti costituisce una grande opportunità di rinnovamento per le associazioni autoctone. Inoltre i temi portati dai migranti possono avviare una nuova leadership del volontariato a livello di discorso pubblico. Certamente i migranti sono un’opportunità per un ampliamento in senso multiculturale: le associazioni che accolgono i migranti possono diventare spazi di sperimentazione, le punte più avanzate di un’elaborazione complessa verso una società multiculturale. Inoltre, nel quadro di un significativo cambiamento demografico, il contributo dei migranti al volontariato in associazioni non etniche può essere significativo per il loro futuro quale energia positiva nel quadro di spesso affaticati passaggi generazionali.

Alcune note conclusive

Guardando ai modelli d’integrazione che emergono dai report spesso incagliati tra assimilazione e inclusione monodimensionale che coincide tout court con l’inserimento sul mercato del lavoro degli immigrati, è evidente che ci sia ancora molto da fare. Ma un’integrazione di basso profilo non può che produrre una partecipazione di basso profilo. E forse nemmeno partecipazione.

L’idea di cittadinanza – né pretesa e neppure concessione – si rivela processo di co-costruzione: non c’è qualcuno che costruisce e la compliance dell’altro, ma soggetti – individuali e collettivi – che intendono sottoscrivere uno stesso patto etico di reciproco riconoscimento, di reciproca legittimazione, di reciproca capacitazione e attivazione. La cittadinanza è un concetto relazionale.

Le esperienze raccolte dalla sperimentazione avviata da DIVERSE nell’accompagnamento di migranti in associazioni di volontariato non etniche dimostrano che, se inseriti in contesti capacitanti, è possibile per le persone straniere attivarsi e contribuire al bene e al benessere della comunità che li accoglie. Il volontariato è il luogo in cui matura e si costruisce un “prendere parte” che realizza un “essere parte”.

Del resto, è solo in virtù di questa appartenenza che è possibile percepire l’esistenza di un debito – un debito “felice”, un legame – e il desiderio di contribuire, mettendoci del proprio, a favore di qualcosa – un gruppo, un quartiere, un comunità – di cui ci si sente o si desidera far parte.

L’Europa si trova oggi a un crocevia epocale: diventare una società sempre più frammentata, e per questo disorientata e impaurita, oppure accogliere la sfida offerta dall’immigrazione provando a costruire – anche grazie al volontariato – una società più matura, integrata e dunque più forte, in senso sociale ma anche economico.

Questo significa provare a scommettere su ciò che ci unisce piuttosto che ciò che divide: uno stesso desiderio di essere riconosciuto, di appartenere e di partecipare.

Il volontariato può essere il terreno in cui coltivare insieme questo comune desiderio.


[1] The Diversity Value. How to Reinvent the European Approach to Immigration, a cura di Laura Zanfrini, 2015, McGraw-Hill, Maidenhead, UK, 2015. Il progetto si focalizza sulla situazione dei TCNs (Third Country Nationals) residenti nei 10 paesi coinvolti nella ricerca. Il termine designa persone immigrate da paesi fuori dall’UE.

[2] Building Citizenship through Volunteering. Immigration as a Resourse for Social Cohesion, Patrizia Cappelletti e Giulio Valtolina, in The Diversity Value. How to Reinvent the European Approach to Immigration, a cura di Laura Zanfrini, 2015, McGraw-Hill, Maidenhead, UK, 2015, pagg. 141 – 169

[3] Come le conclusioni della ricerca evidenziano, le associazioni di volontariato etniche si rilevano centrali nei percorsi di assestamento dei migranti, occorre però aiutarle a superare una tendenziale separatezza e autoreferenzialità, integrandole nei processi decisionali locali legittimandole e contribuendo a farle crescere anche da un punto di vista organizzativo e formale.

[4] Il volontariato si muove ancora in concorrenza con il lavoro. Tuttavia il volontariato sembra costituire una chiave di accesso al lavoro basti pensare solo all’ampliamento del network relazionali. E’ possibile invece trovare modalità sinergiche di riconoscimento, rafforzamento e empowerment delle competenze? Sembrano necessari dispositivi di interscambio e nuove interfacce.