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Dispersione scolastica: molti problemi trasversali e qualche soluzione puntuale

di Maddalena Colombo

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La dispersione scolastica e l’abbandono precoce degli studi nel nostro paese sono problemi endemici che negli ultimi 20 anni si è ritenuto di avere superato – grazie all’innalzamento della scolarità obbligatoria che ha contenuto la fuga dalla scuola dei più giovani – ma oggi, in fase di crisi economico-sociale, si rivelano in tutta la loro gravità e complessità.

Comunque la si veda, la dispersione è un indicatore di bassa qualità del sistema scolastico e di persistenza di disuguaglianze sociali.In Italia, il tasso medio di drop out è di 17,5%(2012) contro l’obiettivo europeo di Lisbona 2020 del 10%; per accorciare la distanza, l’Italia mira al target più realistico del 16% per il 2020. L’area problematica è rappresentata dalle regioni meridionali ed insulari (tasso di ESL attuale del 21,1%, con una situazione del tutto negativa in Sicilia, 24,8%, e Sardegna, 25,5%).

L’attenzione pubblica verso la repressione e la prevenzione dell’abbandono è aumentata sensibilmente dopo il 2010, anche per limitare le ricadute della crisi economica sulle fasce sociali più deboli, ma l’approccio politico è finora sbilanciato soprattutto sulle azioni di contrasto, invece che sulla prevenzione.Si cerca di contenere i costi sociali elevati che provoca l’esclusione giovanile dal lavoro, infatti la dispersione si associa (soprattutto al Sud e nelle Isole) a tassi elevati di disoccupazione e di delinquenza giovanile.

C’è poi un forte accostamento tra abbandono scolastico e situazione di NEET (not in education, employment or training), nelle regioni meridionali il 35% dei giovani dai 15 ai 29 anni rientra nella categoria NEET.

Le misure approntate in questi ultimi anni, a livello generale sono l’anagrafe nazionale degli studenti (progettata dal MIUR ma non ancora realizzata); le scuole di seconda chance (soprattutto per iniziativa di enti privati o terzo settore in convenzione con il settore pubblico); i percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale, svolti anche nelle scuole secondarie, che raccolgono i fuoriusciti dal sistema scolastico attraverso orientamento obbligatorio individuale (i cosiddetti corsi DDIF introdotti dalla Riforma Gelmini nel 2003 che però non sono diffusi in tutte le regioni e, dove sono stati istituiti, hanno provocato una perdita secca di iscritti dai professionali). Misure non generalizzate e finora incomplete su scala nazionale. Per il resto l’approccio al problema dell’abbandono è stato assunto soprattutto a livello locale e con misure school-related, cioè assunte a livello di singolo istituto o di reti di istituto, magari con il supporto di enti locali o fondazioni, ma senza tradursi in politiche di prevenzione vere e proprie.

Sono evidenti quindi i costi sociali del fenomeno del dropping out, che richiamano ad una urgenza nuova nella presa in carico del problema a livello nazionale; primo fra tutti va affrontato il “circuito vizioso” tra condizione sociale dello studente (influenza del capitale socio-culturale della famiglia sul successo formativo dei ragazzi), debolezza della scuola (problematica della confluenza di alunni difficili negli stessi istituti o classi – fenomeno detto in sociologia “segregazione formativa”) e scarsità di prevenzione (dove si interviene solo “a valle” il problema continua a ripresentarsi alla successiva generazione di studenti).

È pur vero, occorre ammettere, che anche in Italia negli ultimi anni qualcosa si è mosso e molte sono le energie che si sono mobilitate per far fronte al problema. Proprio nel Sud sono stati spesi più di 250 milioni di euro per porre in essere quasi 6.000 progetti di contrasto alla dispersione (finanziati con fondi del PON azione “scuola per lo sviluppo” 2000/06, PON azione “competenze per lo sviluppo” obiettivo F, 2007/13, Piani Azione Coesione priorità istruzione 2012/14, in corso).

La valutazione della loro efficacia è tuttora in corso, ma il solo dato della continuità tra i promotori (la stessa scuola, cioè, ha presentato progetti sia nel primo che nel secondo piano PON o nel PAC) è indice di una crescita complessiva di consapevolezza e di impegno.Da parte del MIUR, inoltre, si è posto finalmente l’accento alla considerazione dei BES (Bisogni educativi speciali) con la DM del 27.12.12 e il piano speciale di didattica integrativa e apertura pomeridiana delle scuole (Nota del 7.2.2014) che ha destinato 15 milioni alle scuole di tutta Italia per ripensare alla prevenzione dell’abbandono partendo dal patto di corresponsabilità con le famiglie e dai partenariati con le associazioni del terzo settore.Piccoli segnali di sostegno per passare dall’allarme al protagonismo dei cittadini coinvolti dal problema.