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Il Centro Servizi per il Volontariato di Como

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Dal 2010, la provincia di Como ha visto un significativo incremento del ricorso alle misure alternative alla pena.Si tratta di un fenomeno importante che risponde a bisogni plurimi: quelli del reo, di evitare la carcerazione, quelli di un sistema penale in forte sofferenza, quelli di un sistema sociale che sempre più si interroga sull’efficacia e sostenibilità dei percorsi di pena tradizionali. L’adozione di misure alternative è un’azione prevista, anzi, raccomandata, dall’autorità giudiziaria, ma in quanto pratica complessa, sia per il numero dei soggetti intervenienti, sia per l’elevato grado di coordinamento e presa in carico richiesta, essa risulta spesso non adeguatamente sfruttata nelle sue effettive potenzialità.

A Como, la costruzione di una rete territoriale comprendente il Tribunale, la Procura, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, la Camera Penale, l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, e il Terzo settore ha consentito di avviare un percorso dapprima sperimentale, poi via via sempre più strutturato, che ha prodotto interessanti esiti raccontati nel testo “Condannati al volontariato. Esperienze e dati in ambito penale nella provincia di Como”. L’incontro è con Martino Villani, direttore del Centro Servizi per il Volontariato di Como, ente che ha svolto una funzione pivotale e di attivatore delle risorse in campo.

D – Come nasce e come si struttura questo percorso?

Il magistrato di sorveglianza aveva richiesto che in questi percorsi venisse inserito anche il volontariato, a volte come attività obbligatoria, attraverso una prescrizione, altre volte su indicazione dell’assistente sociale perchè opportuno ad un’attivazione personale o alla costruzione di relazioni, ad esempio nel caso di persone non occupate professionalmente.E’ così che abbiamo incominciato a collaborare con loro.

D – Avevate già maturato una riflessione rispetto a questo tipo di intervento? Da alcuni anni avevamo avviato una riflessione sul servizio di orientamento arrivando a costruire un modello più evoluto rispetto al semplice prospettare l’esistente alla persona che veniva ad informarsi sulle possibilità di fare volontariato. Mutuandolo dall’orientamento al lavoro e scolastico, con lo psicologo Franco Dell’Olio, abbiamo avviato un percorso finalizzato ad aiutare gli operatori del CSV ad un accompagnamento diverso, più preciso e funzionale, basato sull’identificazione di competenze, desideri, limiti e possibilità. Abbiamo testato il modello con i ragazzi inseriti in una comunità terapeutica del nostro territorio e abbiamo visto che la cosa funzionava.

Con questa esperienza alle spalle, a questo punto abbiamo provato a lavorare anche nell’ambito delle misure alternative alla pena. L’idea era semplice ma non di immediata realizzazione: far incontrare questo particolare bisogno con quello delle associazioni che oggi lamentano mancanza di volontari.

Ci sembrava un’ottima occasione per ricomporre due domande, chiedendo alla società civile e alle associazioni di attivarsi su un tema insolito, quello della sicurezza, e di gestirlo in modo diverso, ma anche di dare loro l’opportunità di acquistare nuove risorse. L’abbiamo vista come una possibilità di incontro che poteva crescere e diventare altro.Il cambio di passo è avvenuto in occasione delle modifiche apportate al Codice della Strada, per quanto riguarda le norme sulla guida in stato di ebrezza (art. 186 CdS) o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti (art. 187 CdS) che prevede la possibilità di utilizzo dei Lavori di Pubblica Utilità in alternativa alla pena detentiva o ad una sanzione pecuniaria.

Luisa Logatto magistrato del Tribunale di Como, che già conoscevamo per averla coinvolta in alcuni momenti di riflessione e formazione, ci ha sollecitato ad ipotizzare la costruzione di un sistema in grado di utilizzare il nuovo strumento legislativo, a partire dal gran numero di richieste potenziali che ne sarebbero conseguite all’entrata in vigore dei nuovi articoli di legge.

A quel tempo, infatti, il Tribunale aveva in atto convenzioni con una decina di realtà, due comuni e alcune associazioni, a cui venivano inviati i pochi soggetti, circa quattro o cinque all’anno, che utilizzavano questa alternativa. A partire dal fatto che Il CSV fosse già pronto nell’ambito dell’orientamento al volontariato e capace di identificare e coinvolgere il mondo associativo, è stato avviato un processo di attivazione per connettere i diversi attori coinvolti nella richiesta e gestione della misura alternativa, che ha portato, nel giro di un anno alla costruzione di un protocollo che definisse reciproci ruoli e funzioni.

Questo passaggio ha anche permesso di ricevere un contributo dall’Ordine degli Avvocati, per una prima sperimentazione e, in seguito, di concordare il pagamento del servizio di orientamento, da parte degli avvocati stessi, così da poter rendere stabile la strutturazione del servizio.

Non da ultimo, ci siamo resi conto che la guida in stato di ebrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, fosse il preludio ad occuparsi di casi più complicati, per i quali la pena alternativa era effettivamente alternativa al carcere. Insomma, il bisogno era concreto, ampio e diversificato e richiedeva una risposta organizzata.

D – Che tipo di situazioni possono prevedere all’attivazione di questo circuito? Lavoriamo su due percorsi paralleli. Uno è quello dei Lavori di Pubblica Utilità. L’avvocato, prima della sentenza, presenta richiesta di convertire la pena in lavori di pubblica utilità. Questo percorso riguarda infrazioni del codice della strada, ma anche reati più importanti come i reati connessi alla detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti e i reati che prevedono pene sotto i 2 anni. L’altro riguarda chi ha già una condanna che sconta o in carcere o sul territorio. Ci inseriamo qui nel vasto campo della giustizia riparativa che si estende fino alla mediazione. Questo secondo tipo di intervento è richiesto dai servizi: dall’UEPE, dal SERT, dalla psichiatria. Su questo fronte, su cui lavoriamo all’interno di una rete territoriale che coinvolge i diversi attori Istituzionali e di Terzo settore, attivi sul tema, abbiamo ottenuto finanziamenti da Fondazione CARIPLO e da Regione Lombardia nel quadro della legge 8 che prevede interventi a favore dei condannati, per supportare interventi di orientamento ed accompagnamento più complessi e necessitanti di una regia condivisa.

D – Questo progetto cosa ha generato e sta generando? Anzitutto questa sperimentazione ha aiutato a definire le procedure all’interno del Tribunale, per gestire i flussi e le modalità di gestione delle richieste.Inoltre, l’UEPE, che è un ufficio che ha operatori che coprono un territorio vastissimo (Varese, Como, Lecco, Sondrio), attraverso il protocollo con il Tribunale ha concordato che sarebbe intervenuto solo su quei casi che evidentemente avevano problematiche più complesse. Ciò ha permesso che l’Ufficio non si caricasse di troppi casi e che la misura potesse essere usata in modo deciso.Poi, come dicevo, l’attivazione di un elevato numero di realtà associative e di Enti Locali. Oggi nella Provincia di Como sono oltre 70 i soggetti che hanno aderito alla convenzione con il Tribunale, ma di fatto sono più di 200 gli enti con cui è avviata una collaborazione.

Infine si è generata una contaminazione tra mondi diversi. Ora con alcuni avvocati ci troviamo a gestire realmente insieme la situazione. Come CSV abbiamo fatto formazione agli avvocati e li abbiamo messi in contatto con gli altri soggetti – il Sert, i servizi, le cooperative sociali – e ciò ha permesso loro di comprendere che qualche volta la richiesta di essere tirati fuori dal carcere non serve, perché poni la persona nelle condizioni di non reggere…

D – Ma legare il volontariato ad un reato non confonde un po’ le idee? Intanto come CSV parliamo con chiarezza di “volontariato”: che lo facciano perché sono obbligati o perché poi possano appassionarsi e andare avanti, ciò che è significativo è che queste attività vengano fatte in modo gratuito.Il nostro approccio non è “ti mandiamo a scontare una pena” ma “cerchiamo di trovare insieme a te non la soluzione ideale ma quella che più si avvicina a quelli che sono i tuoi desideri e le tue capacità, che sia utile a te e all’associazione in cui andrai ad inserirti”.

I risultati? Con alcune persone l’esperienza è potentissima. Alcuni rimangono e qualche volta diventano un vero e proprio sostegno dell’associazione. Altrove invece si chiude…Per noi la potenzialità di questa azione è la sua capacità di andare a sollecitare un’attivazione del territorio su un problema complicato che leggi sul giornale arrabbiandoti e chiedendo di aumentare le pene oppure chiedendoti se tu puoi fare qualcosa…Noi abbiamo deciso di provarci lavorando sulle relazioni. Chi si ferma nelle associazioni sono coloro che hanno trovato dei riferimenti.

D – Non è né semplice né scontato per le associazioni seguire questo tipo di persone. Come avete agito? Questo è il problema più grosso, a mio avviso. C’è stata una disponibilità straordinaria del territorio di Como che è stata riconosciuta pubblicamente. Evidentemente c’è un buon humus che lavora in questo senso.

La difficoltà maggiore non è tanto quella di accogliere, quanto di riuscire ad accompagnare le esperienze, intervenire quando ci sono le criticità, per evitare che la relazione si interrompa. Le associazioni sono fatte da persone con un gran cuore ma spesso si corre il rischio di coprire le questioni con l’idea di poterle gestire. Questo è il lavoro che stiamo compiendo: aiutarle a capire che questo è un ruolo sociale che necessita di competenze non tanto professionali ma di attenzione e di cura.

Dobbiamo fare un lavoro culturale, che aiuti le associazioni a far si che questa esperienza non rimanga legata ai singoli ma sia assunta dall’organizzazione intera.

D – Quali i punti di criticità del modello? Il fatto che attualmente non ci sia ancora nessuna istituzione che si prenda in carico la cura e conduzione della cabina di regia, lasciando quindi al Terzo settore il compito di dargli significato.L’altra difficoltà che vediamo è che siccome l’esperienza funziona, sono sempre più le situazioni problematiche che ci vengono proposte. L’asticella si è alzata e questo è un problema – più che per le organizzazioni – per gli operatori. Un esempio: l’ultima persona che ci è stata segnalata è un ragazzo senza casa e lavoro, che però ha l’obbligo di fare queste ore. A questo punto devi necessariamente attivare una rete… Se non trovi un posto per dormire questo ragazzo non arriverà mai a svolgere i Lavori di Pubblica Utilità.Infine c’è la difficoltà legata alle riduzione delle risorse: tutti i soggetti che collaborano condividono problemi legati alla riduzione di risorse, sia di personale che finanziarie. I soggetti istituzionali, sono tutti in affanno…Ma ciò porta a dire che questo bisogno va rivisto spacchettato e ridistribuito su più soggetti, attivando percorsi di rete.

La difficoltà è tenere insieme questo nuovo soggetto di soggetti confidando che ciascuno riesca a fare la sua parte! Nelle organizzazioni come nelle istituzioni trovi sempre le punte di diamante … poi ci sono quelli che sono lì perché non sapevano dove andare…Questo forse è il problema di tutti, oggi: tenere insieme le persone ma anche le azioni e il loro senso.

D – La generatività è sostenibilità economica e sociale. Quella sociale è molto chiara. Ma quella economica?

Nel 2012 le ore di volontariati sui 210 percorsi gestiti nell’anno dal CSV (quindi non totali sulla provincia) sono state 34.479 presso 96 enti (tra organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, coop e enti pubblici. Lascio a voi fare i conti…

Redazione

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