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Invecchiare oggi

di Renzo Scortegagna

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Vecchiaia e terza età

Il tempo della vita fino a poco tempo fa era scandito da fasi ben definite che si susseguivano l’una con l’altra: la fase dell’apprendimento, quella del lavoro e della produzione, quella del riposo. La loro sequenza lineare consentiva di riconoscere le tre fasi come prima, seconda e terza. Per questo, a partire da un certo momento, si è riconosciuta la vecchiaia (ultima fase della vita) come la “terza età”.

L’espressione non andò semplicemente a sostituire il termine vecchiaia, evitando di far coincidere questa età della vita con l’età del decadimento e dell’involuzione, ma si riempì di significati che andarono assumendo sempre più rilevanza e sempre più consistenza.

I fattori che maggiormente hanno contribuito a dare alla terza età un carattere “nuovo” sono stati:

a) l’aumento della speranza di vita (oggi stabilita quasi a 80 anni per i maschi e un po’ di più per le femmine);

b) uno stato di salute migliore rispetto a un tempo, grazie alle conoscenze in materia di diagnosi e di cura (si invecchia in salute);

c) una riduzione della fatica nel lavoro;

d) una diminuzione delle epidemie a motivo di una migliore igiene, una migliore alimentazione, una migliore educazione.

Tutto ciò consente di concepire la terza età non come una fase residua che segue la seconda, quella più importante (perché produttiva), ma un periodo della vita ricco di elementi nuovi.

Innanzitutto non è l’età del riposo e del risarcimento, come poteva essere considerata la vecchiaia nella cultura del lavoro. E’ piuttosto un’età nella quale esiste un potenziale di conoscenze, di esperienza e di energia, che può essere utilizzato a favore della crescita e dell’aumento di benessere individuale e sociale.

E’ l’età della gratuità nel senso che viene meno la necessità del lavoro e vengono meno le aspettative di carriera e di sviluppo professionale, che connotano invece le età precedenti.

E’ l’età dove si può sperimentare una libertà, che nelle età precedenti non si può esercitare perché il tempo è regolato da esigenze stabilite da altri e dove i vincoli influenzano i comportamenti della vita quotidiana. Nella terza età l’organizzazione del tempo di vita spetta alle stesse persone (anziani e vecchi), in ragione dei loro bisogni esistenziali, orientati verso la ricerca di salute e di benessere.

Queste evidenze non sono peraltro sempre riconosciute, in quanto sopravvive ancora il modello culturale capitalistico, dove gli anziani sono figure residuali. Semmai essi sono oggetto di attenzione in quanto portatori di nuovi bisogni di cura, di aiuto, di assistenza. Quindi un peso di cui farsi carico, sia a livello familiare che a livello sociale.

Al di là delle definizioni teoriche, nei fatti prevalgono ancora l’idea e il preconcetto, che la vecchiaia sia come una malattia, che non prevede guarigione.

Liberarsi dagli stereotipi

Per liberarsi degli stereotipi è necessario rinunciare a considerare gli anziani come “categoria”, pur nelle diverse tipologie che li distinguono e concepire piuttosto l’invecchiamento come processo, che interessa auspicabilmente tutte le persone, pur essendo molto differenti i percorsi per invecchiare. Tutti infatti desiderano vivere a lungo, ma tutti desiderano invecchiare bene; si tratta quindi di un obiettivo di qualità e non semplicemente di contabilità anagrafica.

In quanto processo, l’invecchiamento assume dei connotati specifici che ne danno senso e che vanno scoperti e acquisiti durante l’intero arco della vita.

Ciò significa che si può parlare di invecchiamento in ogni età della vita, sia per inserirlo a tutti gli effetti nei significati del vivere, sia per imparare ad invecchiare bene.

In tale prospettiva, invecchiare non è un male da sopportare e da subire, ma può essere visto come un’opportunità per arricchire di valore la vita stessa, come si verifica per le altre età.

E’ possibile quindi imparare ad invecchiare, cogliendo gli stimoli offerti dagli eventi, più o meno rilevanti, che si susseguono lungo l’intero arco della vita e confrontandosi con essi; eventi che concorrono, in modo diverso, a dare senso alla vita stessa.

Tra questi eventi c’è il pensionamento, come uscita dal mercato del lavoro; ci sono il distacco, la separazione dai legami parentali e quindi la solitudine; ci sono la perdita dei ruoli sociali e delle relazioni di appartenenza con la comunità.

Situazioni non sempre facili da affrontare e comunque portatrici di istanze di cambiamento a volte faticose da praticare e da conciliare con le opportunità di cui si è appena detto.

Diverse letture

In tale logica l’invecchiamento presenta vari aspetti che richiedono altrettante letture.

Prima di tutto l’invecchiamento è un fatto individuale, soggettivo, cui è possibile preparasi soli o con l’aiuto di altri.

È un fatto culturale, perché esso propone nuovi profili e nuove appartenenze che non possono essere il semplice prolungamento di quanto realizzato nell’età adulta.

E’un fatto politico, in quanto può essere affrontato con azioni orientate a garantire un invecchiamento attivo e di successo e fornendo, di conseguenza, risorse e opportunità per agire in tale direzione. Ciò implica la necessità di superare l’idea che la vecchiaia sia soltanto decadimento fisico e psichico ed espressione di nuovi bisogni che richiedono assistenza e cura.

Con questo non s’intende negare il fatto, che l’allungamento della vita contribuisca a creare situazioni di non autosufficienza (derivanti da una generica fragilità, dalle malattie e dalle perdite funzionali), allargando di conseguenza la domanda di assistenza. Non si nega tale prospettiva, ma contemporaneamente si vuole affermare che il tempo che precede l’ipotetica perdita di autonomia possa essere vissuto con contenuti di qualità..

Si tratta, prima di tutto, di coltivare un atteggiamento mentale e una consapevolezza che l’invecchiamento è un processo trasversale, che interpella tutti i settori della vita organizzata (dal lavoro, ai trasporti, alla cultura, alla casa, all’ambiente ecc.) e non soltanto quello strettamente delle politiche sociali e sanitarie. Un atteggiamento che legittima le attività di formazione e di apprendimento lungo l’intero arco della vita, azioni che riconoscono la conoscenza come un arricchimento personale e non soltanto come strumento di sviluppo di competenze utilizzabili nei processi produttivi.

Vanno inoltre attivate e valorizzate le relazioni sociali, considerate sia come strumenti che creano appartenenza, una condizione essenziale per contrastare l’isolamento, sia come espressione di quello che viene definito “capitale sociale”, il quale costituisce la ricchezza di una comunità coesa, solidale e aperta alla intergenerazionalità. In questa cornice è possibile sperimentare e praticare concretamente la gratuità, orientata alla produzione di beni immateriali, necessari alla costruzione di quel “bene comune”, che rappresenta il patrimonio indivisibile di una comunità, fatto di tradizioni, di credenze, di costume e di valori

Questo ultimo richiamo introduce l’ultimo degli aspetti da sottolineare e cioè la opportunità o la necessità di riconoscere e trasmettere le esperienze acquisite lungo il corso della vita, che concorrono a evidenziare le radici e le storie che stanno alla base di ogni esistenza e che danno senso all’esistenza stessa in una linea di continuità. Un ruolo che è sempre appartenuto agli anziani e che oggi è un po’ indebolito. Occorre invece riscoprirlo e valorizzarlo, anche attraverso l’impiego delle nuove tecnologie, con l’auspicio che queste ultime possano unire e non dividere le generazioni.

Per concludere è doveroso citare il libro di Betty Friedan, scritto vent’anni fa e pubblicato in Italia con il titolo “L’età da inventare” (Frassinelli, Milano, 1994), un titolo che esprime in modo chiaro come la vecchiaia non possa essere vissuta soltanto con le conoscenze e gli strumenti del passato. Occorrono altri strumenti e altre prospettive. Soltanto a queste condizioni gli anziani possono diventare una risorsa per una crescita e uno sviluppo, non soltanto misurabili con parametri economici e di reddito (PIL), ma anche con parametri immateriali, riguardanti la felicità, la bellezza, la convivenza e la coesione sociale.