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La giustizia riparativa. Il mondo capovolto della giustizia

di Redazione

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In questo mese ci occupiamo di ‘giustizia riparativa’. Qualcuno la definisce il ‘mondo capovolto della giustizia’, ovvero il luogo in cui la giustizia torna a essere una virtù.

Il tema è ampio, complesso e delicato.Tutti conosciamo la sofferenza in cui versa la giustizia. Non solo perché è sempre minacciata dalla sua contro-parte, l’ingiustizia. Che nel corso della storia e nei diversi ambienti assume volti molteplici, non sempre così facilmente decifrabili. Ma la sofferenza della giustizia è data dalla giustizia stessa. Dal modo in cui essa viene spesso compresa, concretizzata e amministrata.

Tale situazione ha visto alzarsi diverse voci. Una tra tutte, per la sua autorevolezza e serietà, è quella del Presidente Napolitano che, nel suo Messaggio alle Camere sulla questione carceraria, nell’ottobre 2013, ha parlato di “questione drammatica, emergenza assillante”.

Oltre ad indicazioni puntuali, il Presidente sottolinea la “stringente necessità di cambiare profondamente la condizione delle carceri italiane”: questo è non solo “un imperativo giuridico e politico, bensì in pari tempo un imperativo morale”. Egli conclude affermando che la civiltà e la dignità di un paese democratico non possono venir compromesse da ingiustificabili distorsioni ed omissioni della politica carceraria e, più ampiamente, della politica per la giustizia.Il sistema penale è impostato sulla separazione netta tra il reo, la vittima e la collettività. Tale separazione si perpetua dentro l’iter giudiziario che è tradizionalmente repressivo e retributivo. Mentre la domanda di giustizia attraversa l’esistenza concreta degli esseri umani coinvolti in quell’iter e, in ultima istanza, tutti gli esseri umani.

Le Nazioni Unite, il Consiglio d’Europa e l’Unione Europea raccomandano un cambiamento di paradigma, ossia l’adozione della “giustizia riparativa” – la “restorative justice”. La giustizia riparativa non rimanda a misure alternative. Ma ad una altra visione della giustizia.

Le pratiche di giustizia riparativa conoscono applicazioni diversificate, pur se ancora oggi quantitativamente limitate (un esempio emblematico è quello della Truth and Reconciliation Commission del Sud-Africa post-apartheid, una commissione che ha consentito una transizione pacifica verso la democrazia attraverso la ricucitura di profondi strappi causati dalle violenze della segregazione razziale).In Italia, i programmi di giustizia riparativa costituiscono ancora una realtà molto circoscritta, pur se promettente come evidenzia l’interessante e appassionato intervento di Alessandra Dal Moro, Giudice del Tribunale di Milano, che unisce la profonda testimonianza personale alla sua elevata professionalità.

Tali programmi sono una risorsa, dal momento che la risposta alla trasgressione non può avvenire attraverso nuove esclusioni e separazioni, ma implica la messa in campo di rispetto e riconoscimento, attraverso un percorso che, per sua natura, dovrebbe includere la relazione. In questo processo di confronto, se opportuno, anche le comunità con l’aiuto di facilitatori, ossia di mediatori, possono essere coinvolte.L’esperienza che viene presentata in questo mese -attraverso il video – è quella Centro di Giustizia Riparativa della Caritas di Bergamo: si tratta di una esperienza le cui implicazioni non riguardano soltanto il contesto territoriale locale, dal momento che lo spazio offerto da tale Centro – mediante mediatori e formatori ad hoc – è quello del confronto tra perpetratori di reato e persone offese, fuori da schemi freddi imposti dall’esterno, che consente di intravedere risvolti interessanti della vicenda giudiziaria, andando più vicino, per così dire, alla verità di certi episodi criminali e alle ferite impresse nelle persone. Lo stile dell’ascolto, della mitezza, del riconoscimento dell’altro e della sua dignità sono costanti che si rincorrono nella quotidianità del lavoro del Centro.

E sono aspetti propri della giustizia riparativa, come mostrano i documenti internazionali in merito.Martino Villani del Centro Servizi per il Volontariato di Como, intervistato per l’Archivio della Generatività, descrive il percorso sperimentale, avviato dal Centro Servizi, di misure alternative e complementari alla pena nelle sue diverse attività di lavori di pubblica utilità e di mediazione che si inserisce nel quadro della giustizia riparativa, coinvolgendo tutta una comunità nel territorio, ossia le sue organizzazioni di volontariato, per ripensare la pena e la giustizia.La generatività dell’esperienza di Bergamo così come di quella di Como si manifesta a vari livelli: essa tocca non solo la (necessaria) revisione della giustizia, bensì i vissuti delle persone e le attese delle collettività, la possibilità della riparazione anche attraverso la restituzione di legami, mostrando come l’ammissione della realtà della sofferenza possa riaprire, pur con tanti limiti, uno spazio rispettoso dell’umano dentro sistemi freddi e riabilitare speranza.Una ulteriore riflessione approfondita sul tema della giustizia, in grado di ricomprendere le esperienze raccontate, e in relazione ad altri delicati temi come il perdono e la pace, viene proposta da Luciano Eusebi, Docente di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano.

La giustizia – ci dice Eusebi – “per essere davvero coerente a se stessa dinnanzi al male, deve saper dire, attraverso i contenuti dei gesti in cui s’esprime, ciò che è altro dal male”. Ciò richiede un cambiamento culturale, dal momento che abbiamo teorizzato la giustizia in un senso meramente formale. Una simile visione della giustizia rischia di escludere ingiustamente, relegandole ad altri ambiti, questioni che reclamano proprio la giustizia.

Redazione

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