Si può essere ancora persone generative quando l’età avanza e si diventa anziani ?

Può essere generativa una società divenuta quasi biologicamente sterile e anagraficamente attempata?

A cosa dobbiamo guardare, chi dobbiamo ascoltare per rispondere a queste domande?

Domande inevitabili nelle condizioni demografiche in cui ci troviamo oggi in Italia che ci accompagneranno almeno nei prossimi tre decenni, sempre che cominciamo a metterci mano ora, altrimenti i decenni saranno molti di più.

Più semplicemente la domanda brutale è : “i vecchi” possono innovare?”

Potremmo trovare qualche sostegno nella risposta guardando la storia o la cronaca e trovare tracce di grandi innovatori, seppur in età avanzata,in moltissimi campi : nella storia dell’arte,in filosofia, nella religione, in politica. Senza andare troppo in là nel tempo, Da Immanuel Kant a Papa Giovanni XXIII, da Mandela a Papa Francesco, da Bach a Ghandi. Chi continua ad essere generativo e chi esprime proprio nella parte finale della vita la pienezza della propria generatività, il suo culmine.

C’è di che sperare quindi. Anche per noi.

Possiamo quindi contare non solo sulla naturale spinta al cambiamento delle nuove generazioni (purtroppo sempre più minoritaria), ma immaginare che anche le più mature possano giocare positivamente in tal senso. Ognuno può quindi portare il proprio contributo nella necessaria trasformazione.

Ovunque possono formarsi avanguardie profetiche in grado di dare vita a nuove esperienze istituenti. Anzi credo che chi incarni maggiormente il paradosso del rapporto tra età e cambiamento e ne percepisca concretamente l’importanza e l’urgenza abbia oggi molte più possibilità di assumere una soggettività propositiva e positiva.

In particolare mi preme segnalare, in questa rubrica dedicata al welfare, due soggettività sociali portatrici di esperienze sensate e di storie concrete sottoposte oggi a enormi sfide di cambiamento. Gli ordini religiosi e le famiglie con figli disabili maggiorenni.

In entrambi i casi si tratta di dare compimento contingente alla virtù della speranza, assumendosi responsabilmente questo compito. Immaginare un senso ed un futuro per persone singolari e plurali può apparire in molti di questi casi “impossibile”; e può essere facile abbandonarsi ad una sorta di fatalismo nichilista.

Ma è proprio questa “impossibilità” che rende l’azione di questi soggetti reale e significativa. Nel tempo delle macchine che fanno il “possibile” all’uomo non resta che l’”Impossibile”.

Si tratta così di provare a stare concentrati, non facendosi distrarre dalle passate abitudini, non farsi fuorviare dalle mode passeggere ( spinti da una superficiale comunicazione). Costruire alleanze e circuiti virtuosi, inediti. Chiedere, cercare, approfondire, confrontarsi, sbagliare, studiare.

Sapendo che i percorsi che si genereranno, le novità che si sarà in grado di mettere sensatamente in campo per rispondere ad una esigenza di vita, di una vita buona, saranno un contributo per l’intera società. Perché ciò che stanno vivendo oggi, la loro condizione esistenziale, ordini religiosi e famiglie con figli adulti disabili non è niente altro che l’anticipazione di ciò che ci aspetta. Che ci aspetta a tutti. In questo senso servono avanguardie benedicenti e generative. Non maledicenti ed isolate.

Tocca alla politica ed al terzo settore accompagnare queste avanguardie. Promuoverle, facilitarne ed integrarne l’azione . Non soffocarle in rigide consuetudini ed assurde regole.

Forme nuove di convivenza, di abitazione, di aiuto reciproco, di educazione, di economia, di cui abbiamo tutti bisogno dipenderanno anche dalle esperienze ( riconosciute) di queste avanguardie.