A volte accade di consumare alcune parole importanti, prima ancora di averle esperite. È quello che mi capita sempre più sovente di notare a proposito della parola “generatività”. La troviamo appiccicata a processi vecchi, a cui si dà una rinfrescata di superficie, spacciando il tutto come
frutto di una dinamica generativa. In realtà dotare gli assistenti domiciliari di un telefono geolocalizzatore significa semplicemente aggiornare la cassetta degli attrezzi, non innescare
dinamiche nuove.
Generatività implica un ragionamento profondo rispetto a quello che si sta facendo e sull’impatto che produce; implica una discontinuità nei processi e quindi un cambiamento. Se le amministrazioni pubbliche sono naturalmente restie a implicarsi in simili percorsi, tocca invece al terzo settore e allo spirito di libertà che dovrebbe contraddistinguerne l’azione, lanciare la sfida e
innescare processi generativi.
Faccio qualche esempio, partendo dal caso citato. La presenza di un operatore o operatrice in
assistenza domiciliare non può essere misurabile solo in un monte ore. Quella presenza è potenzialmente capace di un valore aggiunto molto maggiore: ad esempio può costruire reti di vicinato in appoggio all’anziano, può accompagnare l’anziano stesso a organizzare in modo positivo e non passivo il suo tempo. In questo modo il lavoro dell’assistente non ha il misuratore del “monte ore” ma del valore aggiunto che è in grado di “generare”: ed ecco che la parola si riempie di contenuto e non viene consumata come semplice etichetta.
Sul servizio civile il ragionamento è lo stesso. Organizzato com’è organizzato oggi è nei fatti lavoro socialmente utile (utile anche alle organizzazioni che ne usufruiscono) con qualche minima chance di trasformarsi in opportunità occupazionale per i ragazzi. Dovessimo entrare in una logica generativa dovremmo invece guardarlo come ad un investimento morale fatto sulle nuove generazioni, il cui impatto va misurato nell’affezione rispetto alla collettività che riesce a sviluppare nella coscienza dei ragazzi. Il servizio civile non serve perché occupa bene il tempo ma perché “genera” alleanze comunitarie. Potrei citare anche le potenzialità del “dopo di noi”, se si
sviluppano alleanze con le famiglie. O quelle dell’accoglienza se costruiscono collegamenti tra chi arriva e chi è già qui, investendo sulle relazioni di comunità. La sfida è far sì che quella parola straordinaria “generatività” si si riempia di esperienze e non resti inerte come semplice proclama.